La malattia mortale fu scritta da Kierkegaard negli ultimi anni della sua vita. Il libro apparve a Copenaghen nel 1849, sei anni prima della morte del suo autore. Appartiene, dunque, alla fase più matura e meglio definita del pensiero kierkegaardiano, a quel momento culminante in cui lo stadio religioso domina e campeggia in un suo spazio sovrano e autonomo mentre sempre più recedono e slontanano lo stadio etico e lo stadio estetico, quelle tappe sul cammino della vita che furono sempre presenti nell'itinerario spirituale dell'esistenzialismo cristiano di Kierkegaard, non già come luoghi di sosta o tempi di evasione e dispersione, bensì come termini di riferimento e confronto caratteristici e costanti nell'avventura della sua singolarissima fenomenologia dell'esistenza e nello svolgimento qualitativo e non quantitativo della sua personale dialettica.
Già il sottotitolo dell'opera sembra mettere a fuoco e circoscrivere l'orizzonte del suo significato. Si precisa l'argomento come un Saggio di psicologia cristiana per edificazione e risveglio. E il saggio figura come opera di Anti-Climacus, la maschera pseudonima che Kierkegaard ha indossato solo per La malattia mortale e per Esercizio del cristianesimo, l'ultima cioè delle sue maschere, quella in cui traspare più chiaramente la sua vera fisionomia religiosa, il suo volto di cristiano che si professa senza autorità, nel senso di non potersi certo ritenere un martire o un testimone della verità, pur nel fervore del suo intento di restituire alle categorie cristiane il loro valore più genuino.
Di queste due opere — che hanno un chiaro intento "edificante" e che presentano il problema del cristianesimo con il proposito preciso ed esplicito di contrapporlo al fenomeno involutivo e degenere della "cristianità" ufficiale, impigrita e cristallizzata nel suo "ordine costituito" — Kierkegaard ha voluto apparire anche in qualità di editore che contrassegna con il proprio nome, con la propria firma di convalida, l'accresciuto prestigio dello pseudonimo.