Questo romanzo ha come tema il contrasto fra generazioni e la posizione della gioventù di fronte ai movimenti radicali dell’epoca (specialmente il cosiddetto nichilismo), che scatenò un’aspra polemica su i suoi contenuti politico-ideologici. Oggi invece riteniamo Padri e figli soprattutto un’opera di poesia, forse la più alta manifestazione dell’arte turgeneviana.
Dall’incipit del libro:
Nessuna opera d’arte ebbe, come questa, tanta fortuna di violenti attacchi, quando uscì per la prima volta nel 1860, e più tardi ancora. Gli alti strati sociali si sollevarono di sdegno, i bassi fondi ribollirono; la critica, paurosa e piaggiatrice dei più, scagliò all’autore ogni più abbietta calunnia, ogni più velenosa contumelia. Piaceva all’aristocrazia il ritratto parlante della democrazia, mentre i democratici, dal canto loro, trovavano stupenda la satira contro i parrucconi. Ciascuno, in somma, accettava quella metà di libro che non lo riguardava: e così anche il libro era dilaniato come l’autore.
Naturalmente, il romanzo fu proibito in Russia: la stessa sorte avrebbe avuta, se pure non avesse sollevato una così fiera tempesta. Che cosa in Russia non si proibisce? L’Indice dello Zar è più rigoroso di quello del Sacro Collegio. Autori nazionali e stranieri, poeti e scienziati, storici e romanzieri, statisti e teologi, filosofi e naturalisti, – il bando li coglie tutti alla rinfusa. Ciò vuol dire che lo Zar ha una stima grande della stampa, al contrario di quanto accade in Italia, dove per la stampa si ha così poco riguardo che la si lascia dire tutto quel che vuole. Sul gran mercato librario di Lipsia non passa giorno che non si spacci una novità letteraria o scientifica, v’Rassii zaprescenà (proibita in Russia). È un artifizio molto usato per stuzzicare la curiosità dei lettori. I lettori abboccano all’amo e, dopo aver divorato il libro, cercano studiosamente il segreto motivo della proibizione. E non lo trovano quasi mai.