Vi era una volta una fanciulla — ohimè quante ve ne furono e quante ve ne sono! — una fanciulla che doveva pacificamente sposare un giovanotto. Costui era un bravo ragazzo, negoziante all’ingrosso di spirito e di zucchero; i suoi buoni amici dicevano che del primo non gliene rimaneva mai in deposito e del secondo troppo, volendo significare, con una ignobile freddura, che era buono e stupido. Viceversa, la fanciulla aveva un professore di lingua italiana che la dichiarava un ingegnaccio; ella leggeva romanzi e parti letterarie di giornali illetterati, assisteva a conferenze scientifiche, storiche e poetiche, spiegava sciarade, era immancabile alle prime rappresentazione, prendeva viva parte alle discussioni critiche ed inutili che ne scaturivano: insomma una fanciulla moderna, una fanciulla superiore. Qui si comprende che prima di diventar tale, il suo matrimonio col negoziante di zucchero e spirito poteva sembrar logico, ma giunta che fu la superiorità diventava una proposizione assurda; poichè ogni fanciulla superiore che si rispetta, deve sposare un uomo illustre o morire zitella. I genitori che amavano molto la loro figliola, si persuasero di questa profonda verità e licenziarono il fidanzato; egli pianse per un’ora, si disperò per tre giorni, fu malinconico per una settimana e finì per isposare la figliuola di un negoziante di legname. La storia non aggiunge se ebbero lunga prole, ma all’onesto lettore è lecito supporlo.